ROMA (Reuters) - Morgan Stanley contesterà oggi la giurisdizione della Corte dei Conti nella prima udienza del processo che la vede imputata per un danno erariale di 2,7 miliardi di euro per la chiusura e ristrutturazone di derivati sul debito pubblico, rendono noto tre fonti vicine alla situazione.
Morgan Stanley ritiene di aver contrattato con lo Stato la chiusura delle posizioni e che dunque i suoi atti dovrebbero essere giudicati da un tribunale civile e non dalla Corte dei Conti, riferiscono le fonti.
Nel processo sono coinvolti anche quattro alti dirigenti del Tesoro ai quali si contesta un danno erariale complessivo di 1,18 miliardi: l’ex responsabile del debito pubblico Maria Cannata, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli.
Il Tesoro ha espresso lo scorso anno piena fiducia nel lavoro svolto dai dirigenti e fiducia che il lavoro della magistratura possa fare chiarezza sugli episodi oggetto di accertamenti.
Morgan Stanley non ha commentato ma ad agosto 2016, quando
il caso era emerso, aveva definito le accuse prive di fondamento.
Nessun commento neanche da Siniscalco e Grilli.
Tra fine 2011 e inizio 2012 il ministero dell’Economia ha
versato alla banca americana circa 3 miliardi in conseguenza di
una clausola di “Additional termination event” presente in
alcuni contratti. La clausola, secondo la Corte dei Conti,
consentiva la conclusione dei contratti a discrezione di Morgan
Stanley.
I legali di Morgan Stanley, Cannata, La Via, Siniscalco e Grilli contesteranno anche il merito delle accuse osservando che per la stessa vicenda già due tribunali si sono pronunciati per l’archiviazione, dicono ancora le fonti.
Il gip di Roma, nell’autunno del 2015, sulla posizione della Cannata, all’epoca indagata per manipolazione del mercato, truffa aggravata e abuso d’ufficio.
Il tribunale dei ministri che il 22 gennaio 2016 ha stabilito che l’allora presidente del Consiglio Mario Monti e l’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non commisero alcun reato.
I derivati hanno avuto, tra 2013 e 2016, un impatto negativo
sul bilancio pubblico di 24 miliardi: 13,7 sono esborsi netti
mentre 10,3 sono riclassificazioni statistiche, quel che
Eurostat chiama ‘net incurrence’.
Lo scorso anno i derivati hanno avuto sul bilancio pubblico italiano un impatto negativo di oltre 8 miliardi, secondo le statistiche di Eurostat. Gli esborsi ammontano a 4,25 miliardi ma, considerando anche gli aggiustamenti contabili che incidono sul debito pubblico, il totale sale a 8,324 miliardi.
Il Tesoro ha sempre sostenuto di aver utilizzato i derivati
come assicurazione contro il rischio di un aumento dei tassi,
soprattutto durante gli anni peggiori della crisi finanziaria.
Ma, come spiegato dalla procura della Corte dei Conti a
febbraio 2017, alcuni dei contratti “evidenziavano profili
speculativi che li rendevano inidonei alla finalità di
ristrutturazione del debito pubblico - l’unica consentita dalla
normativa per operazioni in derivati - non essendo ammissibile
per lo Stato, investitore pubblico, assumersi rischi
rilevantissimi”.
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